venerdì 4 settembre 2015

Meditazione per il Primo Venerdì del mese


L'OPPORTUNITA' TEOLOGICA  

DEL CULTO AL SACRO CUORE

Piero Mainardi [1]




«Nel Sacro Cuore si venera il Cuore di Cristo, ovvero la sua umanità in quanto ipostaticamente unita al Verbo. Ed infatti il culto del Cuore non è se stante, ma unito alla persona di Cristo. Il Cuore costituisce l'oggetto immediato e diretto del culto, ma non l'oggetto ultimo che risiede nella persona del Verbo incarnato. La devozione del Cuore di Cristo favorisce lo sviluppo della pietà cristiana e la meditazione sui suoi misteri principali.
La contemplazione del Cuore rimanda al suo amore per noi e alle sofferenze della Passione incitando nell'umanità il desiderio di ricambiare tale amore e al tempo stesso di riparare le ingiurie che gli uomini di tutti i tempi arrecano a Cristo, vanificando in tal modo, la sua sofferenza.
Tale culto agevola il percorso della triplice via della santità: purgativa, illuminativa e unitiva [2].
La purgativa passa dalla contemplazione della sofferenza di Cristo nella quale vediamo gli effetti dolorosi che i nostri peccati provocano direttamente su Gesù e determinando in noi pentimento e contrizione; la via illuminativa si coglie misticamente nel gesto dell'apostolo Giovanni che poggia la testa sul petto di Gesù o nell'osservare lo squarcio prodotto dalla lancia nel costato attraverso il quale si scorgono i misteri di amore di Dio per l'uomo e attraverso il quale è possibile istruirsi su tutte le virtù praticate da Gesù e in special modo quelle di umiltà, amore e obbedienza; la via unitiva è determinata dalla forza stessa unitiva dell'amore che tende ad unirsi e a fondersi nell'oggetto amato.
L'amore di Cristo, perfettamente rappresentato iconograficamente con le fiamme che ardono sul cuore, deve incendiare d'amore il cuore dell'uomo convertendo i peccatori, infervorando i tiepidi, rendendo perfetti i giusti e accendendo di zelo i sacerdoti.
Il Sacro Cuore, segno di salvezza, è presentato da santa Margherita, come una sorta di "secondo mediatore", operante una mediazione speciale tra Dio e gli uomini, attraverso la quale si potevano rinnovare nelle anime gli effetti della redenzione di Cristo in un contesto di devozione per i "tempi ultimi", rispetto ai quali i peccati si moltiplicano a tal punto da rendere necessario un nuovo intervento da parte di Dio che, nel rivelare questa devozione, infonde nuovamente nei cuori l'amore e il desiderio di conformarsi a Cristo, e alle società politiche, ai popoli e alle nazioni la possibilità di raggiungere un rinnovamento spirituale attraverso il quale conseguire la pace e la giustizia».

[1] Piero Mainardi, L'amore di Dio, dal Sacro Cuore alla Divina Misericordia,  D'Ettoris Editori, 2013, pp. 99-101.


domenica 30 agosto 2015

IL CUORE, SORGENTE DELL'AMORE

Commento al Vangelo 


 «Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: 
"Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. 
Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro". 
E diceva [ai suoi discepoli]: 
"Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. 
Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno
 e rendono impuro l’uomo"».

(Mc 7, 14-16)




Gesù, attraverso le sue parole, ci lancia un avvertimento: attenzione a cosa "coltiviamo" nel nostro cuore! La pagina evangelica di oggi, XXII Domenica del Tempo Ordinario si focalizza, in sostanza, sul tema del cuore, bene evidenziato dai versetti 14-16 del capitolo 7 di Marco.


IL CUORE COME SIMBOLO
Il cuore, biblicamente parlando, identifica il centro della persona e, perciò, ne diviene l'elemento "rappresentativo". Lo esprime bene una devozione molto popolare, quella al Sacro Cuore di Gesù.
A tal proposito, così si pronunciò papa Pio XII, nell'Enciclica Haurietis Aquas:
«Il Cuore del Verbo Incarnato è considerato come il principale simbolo di quel triplice amore, col quale il Divino Redentore ha amato e continuamente ama l’Eterno Padre e l’umanità. 
Esso, cioè, è anzitutto il simbolo dell’amore, che Egli ha comune col Padre e con lo Spirito Santo, ma che soltanto in Lui, perché Verbo fatto carne, si manifesta attraverso il fragile e caduco velo del corpo umano, "poiché in Esso abita corporalmente tutta la pienezza della Divinità" . 
Inoltre, il Cuore di Cristo è il simbolo di quell’ardentissima carità, che, infusa nella sua anima, costituisce la preziosa dote della sua volontà umana e i cui atti sono illuminati e diretti da una duplice perfettissima scienza, la beata cioè e l’infusa. 
Finalmente — e ciò in modo ancor più naturale e diretto — il Cuore di Gesù è il simbolo del suo amore sensibile, giacché il corpo del Salvatore divino, plasmato nel seno castissimo della Vergine Maria per influsso prodigioso dello Spirito Santo, supera in perfezione e quindi in capacità percettiva ogni altro organismo umano».
Il cuore è chiamato a diventare anche il "principale" simbolo di chi vuole seguire Cristo. Si interpongono qui delle domande di fondamentale importanza: quale amore esprime il nostro cuore?
Come lo custodiamo? Come viviamo il rapporto tra cuore e pensiero, tra cuore e ragione, tra cuore e istinto? Cosa "coltiviamo" nel nostro "centro"?

Il cuore come "ricevente"
L'idea del cuore come "centro" dell'essere umano fa pensare ad una serie di forze che convergono in esso: è qui che sembrano ricapitolarsi tutte le energie interiori dell'uomo. In sostanza, è nel cuore che affluisce - emotivamente e sensibilmente - tutto ciò che rappresenta "i nostri fiumi". I ragionamenti e i pensieri, le immagini catturate dai nostri occhi, i suoni percepiti dalle nostre orecchie... che vengono trasformati in "emozioni", in "sentimenti".

Cosa sentiamo?
Se il cuore è come un catalizzatore emotivo, occorre fare attenzione a cosa "bruciamo" in esso. C'è il rischio che ci lasciamo trasportare dai ragionamenti troppo umani, dalla prima impressione derivata solo da ciò che abbiamo visto/sentito e che convertiamo questi "affluenti" in propositi di vendetta, invidia, rancore, gelosie inutili, e in quanto altro ancora (di ben più grave) Gesù enumera.

Sentire non è acconsentire
Non fermiamoci ad una lettura superficiale del Vangelo. 
L'uomo fa spesso l'esperienza del "sentire" invidie, rancori, gelosie. Non di rado il cuore viene toccato da desideri cattivi. Il male tenta di assalire il cuore dal di fuori e dal di dentro. I santi hanno lottato con tentazioni di ogni genere. Gesù stesso ne ha vissuto l'esperienza, durante i quaranta giorni trascorsi nel deserto (cfr. Mt 4,1-11). Il punto cruciale sta nel "vincere" su quanto di male "vorrebbe" proliferare nel nostro cuore, frutto della concupiscenza, della debolezza umana e della tentazione.
Gesù sembra fare questa sottigliezza, nel dire che dobbiamo stare attenti a ciò che facciamo uscire dal nostro cuore, non solo e non tanto a ciò che vi entra.

Il cuore come "sorgente"
Il cuore, allora, non solo è un fiume ricevente, cui affluiscono numerose altre fonti, ma è anche una vera e propria sorgente. Le sue acque vanno, simbolicamente, bonificate da quanto potrebbe inquinarle. Come?


IN ASCOLTO E IN OSSERVANZA DELLA PAROLA
Troviamo la risposta nelle Letture di oggi, centrate sulla necessità di ascoltare la Parola e di metterla in pratica, come Parola che viene non dagli uomini, ma da Dio (ce lo ribadiscono tanto il Deuteronomio, quanto Giacomo),da un Dio che è legislatore giusto, vicino al suo popolo.
E' interessante analizzare il Salmo 15:
«Colui che cammina senza colpa,
pratica la giustizia
e dice la verità che ha nel cuore, 
non sparge calunnie con la sua lingua.
Non fa danno al suo prossimo
e non lancia insulti al suo vicino.
Ai suoi occhi è spregevole il malvagio,
ma onora chi teme il Signore».
Non presta il suo denaro a usura
e non accetta doni contro l’innocente.
Colui che agisce in questo modo
resterà saldo per sempre».

La Verità alberga nel cuore
Se il cuore è il centro della persona, allora, in questo centro penetra anche la voce della coscienza, e così pure affluisce la voce di quel Dio che ci tiene in vita (e che ci ha creati dal suo soffio vitale - cfr. Gn 2,7) e che in Cristo è divenuto il Verbo Incarnato. Un Verbo con un Cuore di carne.
«Cor ad cor loquitor», «Il cuore parla al cuore», come scrisse in una lettera san Francesco di Sales, usando un'espressione che divenne poi il motto cardinalizio del beato Newman. 
Se vogliamo rendere puro tutto il nostro essere dobbiamo allora imparare a custodire e meditare la Parola nel nostro cuore, sull'esempio di Maria di Nazareth (cfr. Lc 2,19). Così facendo, da esso, come da una sorgente, usciranno opere di giustizia e di carità, secondo la descrizione che ci fornisce il Salmo; proromperà anche una preghiera sincera, capace di onorare Dio non solo a parole (con le labbra), ma con il cuore, cioè con tutta la nostra persona.

La preghiera fatta col cuore
Gesù - venuto a portare a compimento la Legge e i Profeti (cfr. Mt 5,17) -  nel chiedere una preghiera fatta "con il cuore" non fa altro che riformulare concetti dell'Antico Testamento. Ritroviamo infatti un rimando a Is 29,13:
«Questo popolo
 si avvicina a me solo
con la sua bocca
e mi onora con le sue labbra,
mentre il suo cuore è lontano da me»
e al Deuteronomio, in cui è contenuto lo "Shemà Israel":
«Questi sono i comandi, le leggi e le norme che il Signore, vostro Dio, ha ordinato di insegnarvi, perché li mettiate in pratica, perché tu tema il Signore, tuo Dio; osservando per tutti i giorni della tua vita, tu, il tuo figlio e il figlio del tuo figlio, tutte le sue leggi e tutti i suoi comandi che io ti dò e così si prolunghino i tuoi giorni. Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze» (Dt 6, 1-5).

IL CUORE UMANO SIMBOLO TEOFANICO DELL'AMORE
Il passo sopracitato del Deuteronomio si conclude così:
«Questi precetti che oggi ti dò, ti stiano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte» (Dt 6, 6-9).
La Parola deve inabitare il nostro cuore. Solo così esso diventerà il simbolo più eloquente della possibilità concreta, per l'uomo, di amare Dio al di sopra di ogni cosa, ma anche sé stessi e il prossimo come sé stessi (cfr. Mt 22, 37-39).
Solo così il cuore sarà - simbolicamente - quella sorgente da cui sgorgherà la Parola - assimilata, meditata, custodita - che fa luce sui nostri passi (cfr. Sal 119,105), così come dal Cuore di Cristo sono sgorgati, sul Golgota, i fiumi di acqua viva che ancora oggi ci dissetano nelle fatiche del cammino (cfr. Gv 7,38). 
II nostro cuore - la nostra stessa persona - è chiamato ad essere "teofania" dell'amore divino, così come il Cuore di Cristo - Cristo stesso - è la Teofania per antonomasia di quel Dio Uno e Trino, sorgente di ogni vita, di ogni bellezza, di ogni bontà. Sorgente di tutto ciò che può saziare la fame d'amore di ogni cuore umano.

giovedì 23 luglio 2015

IL CUORE E LA PASSIONE

Un testo di Santa Brigida

La Santa di cui ricorre oggi la festa, ossia Santa Brigida, ci offre una pista di riflessione sul Sacro Cuore, dalla prospettiva della Passione di Cristo.
Potete trovare il testo integrale del passo da cui è stato estrapolato il brano che segue sul sito "La Chiesa", nella pagina dell'Ufficio delle Letture odierno.


Dalle Orazioni attribuite a Santa Brigida





 "Benedizione eterna a te, Signor mio Gesù Cristo, 
per aver dato, durante la tua mortale agonia, 
la speranza del perdono a tutti i peccatori, 
quando hai promesso misericordiosamente la gloria del paradiso 
al ladrone che si era rivolto a te.
Lode eterna a te, Signor mio Gesù Cristo, 
per ogni ora in cui hai sopportato per noi peccatori 
sulla croce le più grandi amarezze e sofferenze; 
infatti i dolori acutissimi delle tue ferite 
penetravano orribilmente nella tua anima beata
 e trapassavano crudelmente il tuo cuore sacratissimo, 
finché, venuto meno il cuore, 
esalasti felicemente lo spirito e, inclinato il capo, 
lo consegnasti in tutta umiltà nelle mani di Dio Padre, 
rimanendo poi, morto, tutto freddo nel corpo.
Sii benedetto, Signor mio Gesù Cristo, 
per aver redento le anime col tuo sangue prezioso 
e con la tua santissima morte, 
e per averle misericordiosamente ricondotte dall'esilio alla vita eterna. 
Sii benedetto, Signor mio Gesù Cristo, 
per aver lasciato che la lancia ti perforasse, per la nostra salvezza, 
il fianco e il cuore, 
e per il sangue prezioso e l'acqua che da quel fianco sono sgorgati 
per la nostra redenzione". 


venerdì 3 luglio 2015

METTI LA TUA MANO SUL MIO CUORE!

Primo venerdì del mese

Riflessioni a margine del Vangelo di oggi









"Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!»".



(Gv 20,24-29)




Il Vangelo di oggi si presta ad una rilettura che porti la nostra attenzione su quello che Gesù chiede a Tommaso, e in lui a tutti noi: "Metti una mano sul mio cuore"!

UNA PEDAGOGIA DIVINA A PORTATA D'UOMO
Il nocciolo della storia è l'incredulità/fede di Tommaso, situazione, questa, che spinge il lettore all'introspezione: com'è la mia fede? Ho una fiducia assoluta, illimitata, nel Dio delle cose a noi impossibili?
Quello che però ci spiazza non è tanto l'atteggiamento dell'apostolo - che può anche apparirci umanamente comprensibile - quanto quello di Dio, che ancora una volta si "abbassa" fino al livello delle creature, accettando di fornire quella che oggi potremmo definire "la prova del nove".

"Se non metto la mia mano nel segno dei chiodi... "
Il senso di quello che chiede Tommaso, e di ciò che poi Gesù gli consente di fare, è rintracciabile in una doppia direzione. Da un lato, per l'uomo, conta il dato "materiale", sensibile, toccabile con mano. Dall'altro, per il Signore, conta ciò che si nasconde dietro l'elemento tangibile. 
A Tommaso preme avere la prova "scientifica" della Risurrezione, a Gesù preme darci la prova "divina"... "irrazionale" - se così potessimo dire - del suo amore per noi.

"Metti la mia mano sul mio cuore"!
A pensarci bene, Tommaso sta dicendo una grande verità. Lo fa in modo certamente inconsapevole. Come fa a sapere che Gesù ha conservato i segni della Passione?
Non sarebbe irragionevole ritenere che colui che afferma di essere Dio, oltre che Uomo, conservi in sé i segni " della morte" fisica?
E' proprio in questo passaggio che troviamo il binario di scambio tra il pensare dell'uomo e il volere di Dio. L'uomo - Tommaso, in questo caso - si ferma al modo di ragionare che gli è proprio: uno che muore, semplicemente, muore. Se dice di risorgere, in qualche maniera dovrà conservare nel corpo un segno che, umanamente parlando, non potrebbe essere risanato. La ferita di un chiodo, è intuibile, è, in grande, come un lobo d'orecchio forato da moltissimi decenni: non può richiudersi. Tommaso ha un'idea molto "umana" della risurrezione, ma questo suo ragionamento nasconde un germe di verità.
Se le ferite del Risorto rimanessero tali e quali a quelle di un morto, nessun uomo potrebbe più "vivere" (il cuore ne sarebbe dissanguato, ad esempio).
La verità che si annida nel modo - in partenza errato - di Tommaso, sta nel fatto che Gesù conserva le ferite della Passione come "segno" tangibile del suo amore eterno, un amore che si è "consumato" (perfezionato) fino alla donazione totale del sé.
E' l'amore di un Dio che è stato letteralmente "trapassato" dall'amore e per amore, e che, proprio per questo, può essere il Vivente, nonostante le ferite.
Quelle ferite sono per noi l'accesso al suo sentimento infinito nei nostri confronti, esse permangono per l'eternità, come la "prova" reale dell'amore salvifico di Dio.
Tommaso vorrebbe toccare una ferita "fisica", Gesù gli fa toccare una ferita "d'amore".
Tommaso vorrebbe solo mettere la mano su un pezzo di carne aperta, Gesù gli fa sentire il suo Cuore!

Due modi di "vedere" il Sacro Cuore
L'esperienza di Tommaso è parallela a quella di Giovanni nell'Ultima Cena.
A differenza di quest'ultima, tuttavia, la prima ci fa comprendere che mentre a qualcuno più avanzato nelle vie spirituali è possibile ascoltare il Cuore di Gesù senza bisogno di "vedere" (il gesto di Giovanni è eloquente: si appoggia sul petto di Gesù, ma non vede nulla, semplicemente "ascolta"), anche agli altri è data la possibilità di accostarsi ad Esso, e di sentirlo palpitare.
La domanda di sottofondo del Vangelo di oggi - "Hai abbastanza fede da credere anche senza vedere?" è allora un invito ad aumentare la nostra fede, per diventare capaci di ascoltare quello che papa Benedetto XVI definiva "il pulsare" della presenza più stabile nella nostra vita: quella di Cristo, Cuore del mondo (cfr. Angelus 1 giugno 2008).

martedì 30 giugno 2015

"L'AMORE UMANO E DIVINO DI GESU'". Omelia di don Pascual Chavez



Carissimi amici del blog, 
condivido con voi un dono ricevuto da una persona amica, che prima della solennità del Sacro Cuore ha voluto regalarmi un'omelia di don Pascual Chavez, Rettore Emerito della Congregazione Salesiana.
Si tratta del testo pronunciato proprio in occasione della Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù.
Ho pensato di pubblicarlo alla fine del mese, affinché il 30 giugno non rappresenti la pagina di chiusura della nostra devozione, ma un punto di continuità verso un amore che non può mai subire battute d'arresto.

Un grazie riconoscente alla persona che ha voluto metterci a parte di questa omelia.
Buona lettura!








«L'AMORE UMANO E DIVINO DI GESÙ»
Omelia nella Solennità del Sacro Cuore di Gesù
Os 11:1.3-4.8-9; Cant Is 12:2-6; Ef 3:8-12.14.19; Gv 19:31-37
(Omelia di don Pascual Chavez )


Carissimi fratelli,

nella solennità del Sacro Cuore di Gesù, celebriamo oggi con tutta la Chiesa l’esaltazione dell’Amore, che è una – e senza dubbio la più importante – delle quattro dimensioni fondamentali dell’uomo: la conoscenza, la libertà, l’amore e la fede. Essa mostra che tutto è dovuto all’amore: dal disegno originale di Dio alla creazione, alla redenzione, alla pienezza della comunione in Dio. Tutto questo splende nel cuore di Gesù. È quanto abbiamo pregato nella prima parte della orazione colletta: “O Padre, nel Cuore del tuo dilettissimo Figlio ci dai la gioia di celebrare le grandi opere del suo amore per noi”.

Certo, ci troviamo in un’epoca in cui la devozione al Sacro Cuore ha subito un calo notevole (basterebbe fare riferimento alla pratica del primo venerdì del mese, che oggi ormai passa inosservato, almeno in molti posti), anche per una certa contestazione dottrinale che ha messo in discussione la validità della relazione del cuore con l’amore, tenendo conto che nella Bibbia il cuore allude piuttosto ai pensieri e all’intimo della persona umana. Inoltre, a molti questa devozione, legata al simbolismo del cuore luogo dell’amore, sembra qualcosa di sentimentale. Si è detto anche che si tratta di una devozione che, guardando astrattamente all’amore di Gesù, non ha diritto di comparire nel ciclo liturgico, il quale considera gli eventi concreti della salvezza umana. Infine, altri affermano che, essendo una devozione legata ad apparizioni private, non obbliga la fede.

Eppure si deve dire, con il Papa Paolo VI, che il mistero della Chiesa non “può essere compreso come si deve se i fedeli non portano la loro attenzione a questo amore eterno del Verbo Incarnato, di cui il Cuore di Gesù ferito è simbolo luminoso”. Su questa linea il Concilio Vaticano II afferma che Gesù amò con cuore umano, indicando così l’oggetto di questo segno o mistero: il cuore umano di Gesù in quanto segno e prova del suo amore umano e divino (cfr. GS 22).

Il fondamento evangelico è quello che ci presenta il testo di Giovanni, secondo il quale tutti gli uomini sono attirati da Cristo che, come agnello pasquale, si è offerto per la salvezza del mondo, con una fecondità spirituale meravigliosa, capace di rendere possibile la nascita di una nuova umanità, che nasce proprio del cuore di Gesù.

«Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera ed egli sa che dice il vero perché anche voi crediate». Raramente sono usate parole così forti nei Vangeli, dopo il racconto di qualche episodio riguardante Gesù: trattasi perciò di un avvenimento di straordinaria importanza. Quale? «Venuti (i soldati) però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, a uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue ed acqua». L’avvenimento dunque è duplice: l’apertura del fianco di Cristo crocefisso; l’uscita da questa apertura di sangue ed acqua. Grande è veramente il mistero racchiuso!

La ferita inferta al costato è prima di tutto una porta aperta nella carne di Cristo, che ci consente di entrare in Lui. Entrando nel mistero di Cristo, noi, come dice l’Apostolo, siamo in grado “di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo”. L’apertura del suo fianco ci scopre definitivamente il suo cuore: i suoi pensieri, i suoi progetti. Attraverso un suo profeta, il Signore ci aveva detto: “Io ho progetti di pace e non di sventura; voi mi invocherete e io vi esaudirò”.

La ferita inferta al costato è anche fonte da cui sgorga acqua e sangue. Dal Cuore di Cristo viene effusa l’acqua che dona la vita ed il sangue che purifica. Nel deserto, il popolo ricevette l’acqua da una roccia che, colpita, si aprì e ne scaturì un fiume: nel pellegrinaggio della nostra vita la roccia che è Cristo si è aperta e da essa sgorga l’acqua che ci disseta. Gesù l’aveva promesso alla Samaritana. È l’acqua dello Spirito Santo. E al contempo esce anche sangue: cioè il sacramento dell’Eucarestia che ci consentirà di partecipare sempre all’amore del Crocefisso.

Ascoltiamo quanto insegna S. Agostino: «Nel costato di Cristo fu come aperta la porta della vita, donde fluirono i sacramenti della Chiesa ... Quel sangue è stato versato per la remissione dei peccati; quell’acqua tempera il calice della salvezza ed è insieme bevanda e lavacro... Il secondo Adamo, chinato il capo, si addormentò sulla croce, perché così, con il sangue e l’acqua che sgorgano dal suo fianco, fosse formata la sua sposa. O morte, per cui i morti riprendono vita! Che cosa c’è di più puro di questo sangue? Che cosa c’è di più salutare di questa ferita?» (In Iohannis Evangelium, 120,2).

Il Cuore di Gesù sta quindi a simboleggiare l’immenso amore con cui il Padre ha tanto amato il mondo da dare il suo unigenito Figlio e allo stesso tempo l’amore infinito di Gesù che “dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1). Lui stesso descriverà in questa maniera la sua morte, come espressione suprema di amore: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13).

Se è vero che, a livello semplicemente biologico, il cuore non ha niente a che fare con l’amore ma piuttosto con la vita, usato metaforicamente il simbolo del cuore diventa più ricco e carico di significato. Infatti, l'amore è la forza più vivificante, più del cuore stesso. L’amore è, dice San Paolo nella lettera ai Corinzi, l’unico carisma capace di sopravvivere alla morte, proprio perché è più forte della morte. Questo è il suo primato, questo è il suo valore assoluto, tolto il quale neppure i più grandi carismi servono a niente: “Se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi l'amore, non sono nulla” (1 Cor 13, 2).

Ma va detto che l'amore – libero per sua natura – è il dono più esigente, perché non può essere comprato con nulla e può essere ripagato soltanto con l’amore. Questo è il significato dell’eloquente brano di Osea, in cui il profeta fonde insieme la tenerezza e la passione di Dio: “Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione”. Gli uomini amati da Dio, il popolo colmato di amore e di cure, non hanno corrisposto. Ma Dio – “che è Dio e non uomo”, secondo parole del profeta –, ama appassionatamente e vincerà col suo amore le ingratitudini e l’egoismo. Anzi, li salverà facendo maturare gli uomini nell’amore.

Il Cuore di Gesù, come segno e simbolo dell'amore di Gesù che “ci amò sino a dare se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore” (Ef 5,2), diventa così l’espressione più sublime e definitiva dell’amore umano e divino di Gesù per ognuno di noi, così come lo sentiva Paolo fino a scrivere: “Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?... Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8, 35-39). Ed era proprio questo amore che lo portava dopo ad amare i suoi con affetto profondo e dedizione zelante.

La magnifica pagina della lettera agli Efesini fa sentire, in questa stessa linea, ai cristiani che sono tutti avvolti in un immenso, tenero e forte amore, che sorpassa ogni conoscenza e che ricolma gli uomini di tutta la pienezza di Dio.

Forse la devozione al Sacro Cuore di Gesù dovrà trasformarsi, purificarsi di ogni espressione sentimentale ed arricchirsi biblicamente e teologicamente, ma deve essere conservata e diffusa come manifestazione suprema dell’amore sensibile, umano, di Gesù, che si donò al Padre e a noi. Potrebbe essere una devozione molto giovanile, capace di attirare i giovani, così sensibili all’amore ed al simbolo del cuore, ad “attingere con gioia alle sorgenti della salvezza”, che si trova soltanto nell’amore effettivo, quello che si fa oblazione di sé e non possesso degli altri.

La sete di vita e di felicità di tutte le persone, specialmente quella dei giovani, è una sete di amore, ma solo un amore vero, grande, profondo, duraturo, rende felici. E gli uomini fanno purtroppo ininterrottamente due costatazioni: un amore veramente pieno non esiste o non dura, perché pur sempre troncato dalla morte; inoltre l’amore subisce tutti gli attentati che lo degradano, lo sviliscono, lo uccidono. A questo punto, la fede viene a dirci che su questo l’uomo ha bisogno di essere liberato, reintegrato, restaurato, redento; che l’uomo deve imparare ad amare con sincerità e pienezza, ma che il suo amore non sarà tale se non è integrato nell’amore di Dio; e ancora che Dio si è fatto uomo per insegnarci che cosa è l’amore, come si ama.

Sembra che per noi salesiani questa devozione sia stata così familiare da essere stata assimilata all’icona del Buon Pastore “che conquista con la mitezza e il dono di sé” (C. 11), e alla carità pastorale (C. 14). La riflessione sulla vita di Don Bosco ci permette di verificare fino a che punto il nostro Fondatore si è ispirato in modo cosciente alla carità del Cristo.

Sembra opportuno qui richiamarci allo stemma della Congregazione che reca il busto di San Francesco di Sales e un cuore da cui escono fiamme, e all’art. 4 delle Costituzioni che ricorda appunto lo ‘zelo’ di San Francesco di Sales. La carità apostolica, che è al centro del nostro spirito, corrisponde esattamente a ciò che il nostro Patrono chiamava, secondo il linguaggio del tempo, ‘devozione’. Sembra perciò valido dire che la devozione al Sacro Cuore è molto salesiana, e segno di questo non sono soltanto la dedizione e le fatiche di Don Bosco per portare avanti la costruzione della Basilica al Cuore di Gesù, e il cuore che appare nello stemma, ma anche la dedicazione al Sacro Cuore di tutte le case di formazione della Congregazione, appunto perché al centro del nostro spirito si trova la carità pastorale, che “trova il suo modello e la sua sorgente nel cuore stesso di Cristo”, e che è “uno slancio apostolico che ci fa cercare le anime e servire Dio solo” (C. 10).

Guardare a Cristo modello vuol dire ricordare che il cammino di santificazione a cui siamo chiamati è un cammino di ‘cristificazione’, fino a dire come Paolo: “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). La nostra vita e la nostra vocazione è una continuazione della missione di Cristo, nel predicare, nell'educare, nel salvare. Perciò la nostra missione consiste non nel fare cose, pur abbaglianti, ma nell’essere segni e portatori dell’amore di Dio ai giovani.

Concludo invitandovi a fare nostra la preghiera dell’Apostolo che chiedeva per i cristiani di Efeso “che il Cristo abitasse per la fede nei loro cuori e così, radicati e fondati nella carità, fossero in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché fossero ricolmi di tutta la pienezza di Dio” (cfr. Ef 3, 17-19).


Don Pascual Chávez V., SDB
Roma, San Tarcisio – 12 giugno 2015

venerdì 12 giugno 2015

FIGLIO MIO, DAMMI IL TUO CUORE (Prv 23,26) - Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù




Nella Nuova Vulgata il versetto 26 del capitolo 23 dei Proverbi, viene così riportato:
"Figlio mio, dammi il tuo cuore".
Alla base di tutta la vita "umana", ma anche divina di Gesù ritroviamo esattamente questo mistero, quello di un Figlio che ha donato tutto il Suo Cuore al Padre, con tutto l'amore di cui era capace. Un amore divino, sì, ma anche umano.

Sacro Cuore di Gesù, del Rohden. La tela sovrasta l'Altare maggiore della Basilica del Sacro Cuore a Roma.
In basso, sorretta da un angelo, la scritta "Praebe, Fili mi, Cor tuum Mihi": "Figlio mio, dammi il tuo cuore".
Foto dal sito della Basilica

Pensiamo alle tentazioni molteplici che il Cuore umano di Cristo dovette patire e che vinse: esse son ben più numerose delle tre che i Vangeli ci descrivono ed è in modo particolare Luca che ce lo fa comprendere, sottolineando, nell'incipit della pericope che:
"Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo" (Lc 4,1-3).
Alla fine di questi quaranta giorni il diavolo sferrò le tre grandi tentazioni del cibo, del potere, della superbia,  ma comprendiamo dal Vangelo che tutto quel lasso di tempo fu una continua preghiera, penitenza e tentazione per Gesù.
Questi dettagli ci conducono su un altro mistero taciuto dagli evangelisti: le tentazioni durante l'intera vita di Cristo.
Satana non seppe fin da subito che Gesù era Figlio di Dio. Lo si evince dai Vangeli e vari santi e scrittori spirituali attestano che la sua nascita in umili condizioni fosse proprio stata voluta da Dio per garantire quella "vita nascosta" che Gesù condusse per ben trent'anni.
Ma se il "mestiere" del demonio è quello di tentare tutti gli uomini per indurli al male e farli cadere nel peccato, allora è naturale che abbia agito così anche con Cristo, che non solo era considerato un uomo, ma, pur essendo anche Dio, possiede realmente la natura umana.
Di più: trovandosi dinanzi ad un Uomo dalle virtù perfette, maggiori saranno state le tentazioni sferrate dal diavolo, tentazioni proporzionate a quell'incomparabile, perfetto grado di santità in cui Cristo viveva.
Gesù - non dimentichiamolo - in quanto Uomo godeva del libero arbitrio, al pari di tutto il genere umano.
Il Suo Cuore avrà vissuto come ogni cuore umano le tentazioni che il diavolo è solito scatenare all'interno delle creature, ed in sommo grado, proprio perché somma era la purezza e la bontà di Cristo.
Le tre tentazioni nel deserto ne sono la conferma: il demonio - che ora sa chi è Gesù - propone delle suggestioni umanamente impossibili, suggerisce delle seduzioni estreme, perché estrema è la santità di Colui che egli tenta.
Dunque, trovandosi dinanzi ad un Uomo dalle virtù coltivate in sommo grado, dalla perfezione mai vista sulla terra...certamente le tentazioni scatenate dal demonio contro Cristo saranno state le più grandi mai patite da ogni comune mortale.
Se il Cuore di Gesù è "mite ed umile" è dunque sia perché tale era la Sua perfetta natura umana, sia perché, giorno dopo giorno Egli ha rifiutato ogni suggestione diabolica, reagendo con mitezza all'ingratitudine umana che il demonio sfruttava per tentarlo di superbia o d'ira; e con umiltà ad ogni lode e adorazione di quanti credevano in Lui, tutti aspetti che Satana voleva sfruttare per tentare Gesù di superbia.
Se proviamo per un attimo ad immaginare la somma di tutte le tentazioni umanamente subite da Gesù (ed è ovvio che Egli le abbia subite, essendosi caricato di tutti i peccati degli uomini), possiamo dire che se Egli le vinse fu proprio perché - umanamente parlando - rimase "fedele" a quel grande amore che lo lega, in quanto Figlio, al Padre, a quella richiesta "Dammi il tuo cuore"!
Satana ha tentato di sviare quel cuore dal cuore di Dio, ma Cristo è rimasto Cuore di Figlio, fedele al Padre; Cuore di Sposo fedele alla Chiesa; Cuore di Padre - perché del Padre ci mostra il cuore!- fedele ai suoi figli; Cuore di Amico fedele agli amici fino a dare la vita per loro; Cuore di creatura fedele alla fedeltà di Dio.
Gesù ha dato tutto il Suo Cuore al Padre...e così facendo lo ha donato anche a ciascuno di noi.
Lo ha fatto per amore, perché in Lui si realizza quell'espressione colma di senso che spesso si dicono gli innamorati: "Ti dono per sempre il mio cuore" o "il mio cuore è nelle tue mani".

Quest'oggi, Solennità del Sacro Cuore di Gesù, meditiamo su come anche noi - ad imitazione di Cristo - siamo chiamati a dare il nostro cuore al Padre ed in questa donazione a Dio siamo chiamati anche a renderci dono per i nostri fratelli.
Cristo non ha avuto timore di amare fino in fondo, donando quel Cuore preziosissimo al Padre, e donandolo a noi, affinché ne sappiamo fare tesoro, anzi, affinché sappiamo arricchirci dei tesori inesauribili in Esso contenuti.
Possiamo fare altrettanto anche noi, vincendo le innumerevoli tentazioni che ogni giorno il demonio ci propone, ricordando che se noi siamo uomini, anche Gesù lo era quando fu tentato (e lo è ora che è stato glorificato!): "In Cristo noi contempliamo la fedeltà di Dio. Ogni gesto, ogni parola di Gesù lascia trasparire l’amore misericordioso e fedele del Padre.
E allora dinanzi a Lui ci domandiamo: com’è il mio amore per il prossimo? So essere fedele? Oppure sono volubile, seguo i miei umori e le mie simpatie? Ciascuno di noi può rispondere nella propria coscienza. Ma soprattutto possiamo dire al Signore: Signore Gesù, rendi il mio cuore sempre più simile al tuo, pieno di amore e di fedeltà."
(Papa Francesco, Omelia per la Solennità del Sacro Cuore di Gesù, 27 giugno 2014)
Se sapremo essere fedeli in questa donazione del cuore, intesseremo un dialogo d'amore con il Cuore che, più di tutti, ci ha amati e ci ama.

BUONA SOLENNITA'  A TUTTI!



PREGHIERA AL SACRO CUORE

della Beata Eugenia Ravasco


O Signore, fa' che tante anime 
sviate dal retto cammino trovino nel vostro Ss. Cuore 
quella pace e gioia 
che inutilmente cercano lontano da te.
Per i meriti della tua passione
eusaudisci speciali misericordie 
facendoci strumenti abili a moltiplicare e dilatare 
la tua gloria, 
e soprattutto infiammaci d'amore santo 
onde vivere e morire per Dio solo.

Pater, Ave, Gloria

giovedì 11 giugno 2015

NOVENA AL SACRO CUORE- nono giorno: il Cuore di Cristo è il paradigma di Dio in terra


PREGHIERA AL SACRO CUORE
della Beata Eugenia Ravasco

O Signore, fa' che tante anime 
sviate dal retto cammino trovino nel vostro Ss. Cuore 
quella pace e gioia 
che inutilmente cercano lontano da te.
Per i meriti della tua passione
eusaudisci speciali misericordie 
facendoci strumenti abili a moltiplicare e dilatare 
la tua gloria, 
e soprattutto infiammaci d'amore santo 
onde vivere e morire per Dio solo.

Pater, Ave, Gloria
 
 
 
 
 
 
Meditiamo insieme a Giovanni Battista Montini - Paolo VI:
(da "La devozione al Sacro Cuore nei discorsi di Papa Montini, LEV, 1977, pp.39-40)
 
  
"Gesù è venuto nel mondo e il mondo non lo volle ricevere.
L'hanno condannato come un impostore, un blasfemo e come un nemico del popolo, un nemico di Cesare, un nemico di tutti. 
Questa è stata l'accoglienza che il genere umano ha fatto a Gesù.
E Gesù paziente, Gesù venendo in mezzo agli uomini ha stima degli uomini.
Sappiamo quanta confidenza sia scaturita dal suo cuore sugli uomini. Se c'è davvero conforto dopo venti secoli per te, uomo così caduco, così infelice, è perché c'è qualcuno che ti compatisce, c'è qualcuno che ti vuol bene, qualcuno che ti aspetta, che è ancora capace di sollevarti e di perdonarti.
Questo qualcuno è Gesù, è Cristo, è il Cuore del Signore.
Sappiamo di tante anime che hanno accettato di avvicinarlo, di andare a lui con la testa china, col passo trepidante, e che hanno trovato il Signore pronto ad accoglierli e a consolarli. 
Gesù è il paradigma di Dio in terra".

mercoledì 10 giugno 2015

NOVENA AL SACRO CUORE- ottavo giorno: "Mite e umile di cuore"...


PREGHIERA AL SACRO CUORE
della Beata Eugenia Ravasco


O Signore, fa' che tante anime 

sviate dal retto cammino trovino nel vostro Ss. Cuore 

quella pace e gioia 

che inutilmente cercano lontano da te.

Per i meriti della tua passione

eusaudisci speciali misericordie 

facendoci strumenti abili a moltiplicare e dilatare 

la tua gloria, 

e soprattutto infiammaci d'amore santo 

onde vivere e morire per Dio solo.



Pater, Ave, Gloria

 

 

 

 

 
 
Meditiamo insieme a Giovanni Battista Montini - Paolo VI:
(da "La devozione al Sacro Cuore nei discorsi di Papa Montini, LEV, 1977,pp.35-36)
 
  
"Come ci raffiguriamo Cristo Gesù? Quale è l'aspetto caratteristico di lui, come risulta dal Vangelo? Come a prima vista si presenta Gesù?
Una volta ancora le sue stesse parole ci aiutano: Io sono mite e umile di cuore (Mt 11,29).
Gesù vuole essere guardato così, anche se la visione di Lui che ci dà l'Apocalisse riempie di forma e di luce la sua figura celeste (Ap 1,12).
Questo aspetto dolce, buono e soprattutto umile si impone come essenziale. Meditando si avverte che esso manifesta ed insieme nasconde un mistero fondamentale relativo a Cristo, quello della Incarnazione, quello del Dio umile, mistero che foverna tutta la vita e la missione di Cristo.
Gesù è l'uomo buono per eccellenza: ed è perciò che Egli è disceso al livello infimo anche della scala umana: si è fatto bambino, si è fatto povero, si è fatto paziente, si è fatto vittima perché nessuno dei suoi fratelli in umanità potesse sentirlo superiore o lontano. Si è messo ai piedi di tutti.
Non è da stupire se l'iconografia di Cristo abbia sempre cercato di interpretare questa mansuetudine, questa estrema bontà.
L'intelligenza mistica di lui è arrivata a contemplarlo nel cuore e a fare per noi moderni, sentimentali e psicologi sempre polarizzati verso la metafisica dell'amore, del culto al Sacro Cuore, il focolare ardente e simbolico della devozione e della attività cristiana".